L’Età romana: nascita della biblioteche a Roma[1]
Convenzionalmente, le Leggi delle XII tavole (451-450 a.C.) sono considerate il primo libro apparso sul proscenio di Roma. A dire il vero non ci sono indicazioni sulla presenza di libri a Roma nel V secolo a.C. Quello che con certezza si può affermare è che i libri presenti a Roma furono per lungo tempo gli annali massimi compilati dai pontefici, i libri rituali, infine i testi sibillini. Possiamo anche affermare la presenza di traduzioni svolte dai primi autori come Livio Andronico, Terenzio, Plauto, Nevio, più che altro di testi teatrali. Nelle città greche dell’Italia meridionale poi, dovevano certamente essere presenti libri greci usati nelle scuole o nei teatri.
Se consideriamo alcuni autori citati, troveremo Plauto che nel prima del 218 a.C. si trasferisce a Roma dove mette in atto opere teatrali perché da attore diviene commediografo. Si cita poi il caso di Terenzio che sarebbe morto naufrago mentre trasferiva dalla Grecia all’Italia un carico di testi importante di commedie menandree. Questo fatto importante è indice di dove i comici romani trovassero raccolte di commedie da tradurre e mettere in scena, e ci indica il fatto che vi fosse un certo afflusso di testi in quel di Roma.
Possiamo allora dire che l’abitudine di raccogliere e conservare libri a Roma fosse una abitane che prese piede tra il III e il II secolo a.C. Alcuni episodi supportano questa teoria. Dai ritrovamenti dei cosiddetti libri di Numa (181 a.C.), alle prime razzie di libri per diritto di conquista ( dopo Pidna 168 a.C.), al fatto pure molto significativo che Polibio, alla stregua di Scipione Emiliano, abbia potuto copiare moltissimi testi greci per comporre il suo testo di storia, ed infine il fatto della presenza nelle Origines di Catone di molte fonti greche (composte tra il 160 e il 150 a.C.) ci comunicano che la diffusione dei libri poi raccolti in biblioteche dovesse essere in Roma un evento più che sporadico. Il rinvenimento dei “libri di Numa” è l’evento più memorabile secondo la recente storiografia. Si tratta di una serie di rotoli di papiro di foglie di cedro appartenuti a re Numa Pompilio (715 a.C.). Generano ancora ampie discussioni sulla numerosità e sulla tipologia del documento. La diatriba è dovuta a l fatto che nella Roma arcaica, vi era un carattere chiuso e oracolare del sapere fondamentale che era incarnato da sacerdoti e interpreti. Così il collegio dei pontefici, detentore e interprete della giurisprudenza, rappresenta la casta che conserva i libri fondamentali che sono pochi ma soprattutto segreti, e i responsi sono orali e oracolari.
Ovviamente ci sono differenti ambienti dove uso di scrittura e del libro si manifestano. Oltre al mondo sacrale e ufficiale il libro è diffuso, lo abbiamo detto, nel mondo del teatro. Il maggior numero di libri è appannaggio delle classi elevate. Si vedano le testimonianze che si concentrano sulla cerchia degli Scipioni che intrattengono rapporti di alta cultura tramite Scipione Emiliano ed Emilio Paolo con il commediografo Terenzio che spesso scambia con loro libri che suscitano piacevoli conversazioni. E Roma è in costanti e crescenti rapporti culturali e librari con importanti città ricche di libri greci: Taranto, Siracusa e Cartagine. Gli autori romani, poi, riflettono su una tradizione letteraria in lingua latina.
Non sono comunque presenti a Roma biblioteche pubbliche. Le prime biblioteche che si possono definire tali, sono quelle private di grandi signori romani. E hanno origine dai tre conquistatori dell’oriente: Emilio Paolo, 168 a.C., Silla, 86 a.C. e Lucullo 71/70 a.C. Sono tutte e tre ovviamente composte da testi greci. Emilio Paolo ha il primato di avere costituito a Roma la prima biblioteca privata: costituita dal bottino di guerra dopo la vittoria di Pidna, dove sconfigge Perseo, ultimo sovrano di Macedonia, secondo la testimonianza di Catone sembra che costituissero la biblioteca greca per i figli lettori incalliti. La seconda biblioteca di questo genere è quella di Silla, che con la resa di Atene (86 a.C.) depredò la magnifica biblioteca Apellicone di Teo, bibliofilo e filosofo peripatetico, tra i quali libri troviamo i Pragmateiai di Aristotele e della biblioteca di Teofrasto. Cosa rappresenti un evento come questo per la cultura romana è noto: vi è una irruzione di Aristotele e dei grandi trattati nella cultura filosofica romana che trova in Cicerone il più grande divulgatore del pensiero greco in lingua latina. Per inciso la Biblioteca di Cicerone è ricca sia di testi greci che di traduzioni in latino che rappresenta all’epoca un segno di distinzione che mette in primo piano il conoscitore (54 a.C. circa). La terza ricca biblioteca è quella di Lucullo che nella guerra contro Mitridate (70/71 a.C.) depreda la sua reggia più importante tanto da costituirsi una biblioteca fantastica: nota di merito di Lucullo è che la costituita biblioteca fu messa a disposizione di amici e di dotti riproducendo in piccolo certi tratti delle biblioteche ellenistiche. Plutarco nella vita di Lucullo (cap.42) racconta di passeggiate (peripatoi) e della presenza di scholastéria per ospitare i dotti.
Si potrebbero citare molte altre biblioteche private in Roma ( Catona a Tusculo, Varrone, Attico, Cornelio Nepote, quella dei Pisoni ad Ercolano) ma è necessario qui indicare il momento di cesura con la tradizione e l’istituzione della prima biblioteca pubblica a Roma: quella di Asinio Pollione (76 a.C. – 5 d.C.). Asinio Pollione porta a compimento il progetto vagheggiato da Cesare prima dell’assassinio che disegna una biblioteca pubblica a Roma sul modello di quella di Alessandria che deve superare due scogli della città eterna: il fatto della autosufficienza libraria del ceto elevato e l’esitazione da parte dei grandi potenti, ad investire in simili imprese il proprio prestigio. Così come per l’ellenismo la costituzione della biblioteca doveva segnare un aspetto della regalità, per il potente romano rappresentava una affermazione del personale prestigio politico pubblico. A Varrone viene affidato il compito della sua costituzione: per la prima volta si tenta di creare una raccolta libraria della letteratura in lingua latina. Marrone infatti, aveva ricevuto da Cesare il compito di rendere accessibili al pubblico quanto più possibile le biblioteche e aveva affidato il compito a Varrone di apprestare il materiale e di classificarlo. Ciò si era realizzato con la copiatura di schiavi librarii degli esemplari già esistenti in circolazione. Asinio Pollione orna in maniera fastosa l’atrium della biblioteca con busti di marmo tra cui compare, grandissimo onore perché ancora in vita, quello di Varrone. IL “bottino” rappresenta sempre la parte cospicua che arricchisce la biblioteca. Quello estorto ai Partini, arricchirà l’atrium con un gruppo di Dirce Amfione e Zeto. Ecco che il bottino de manubis rappresenta in senso lato le ricchezze, derivate da guerre civili spoliazioni ecc., da cui Asinio attinge per edificare la biblioteca non per i libri. La biblioteca di Asinio, l’atrium libertatis, sarebbe durata fino e non oltre al 69 d.C. anno nel quale le truppe germaniche nell’anno “dei quattro imperatori”, si acquartierano proprio in quel luogo.
Per un certo tempo con la biblioteca di Asinio convive quella fondata da Augusto sul Palatino. Anche in questo caso i testi messi a disposizione sono i greci e i latini. La biblioteca viene eretta a fianco del tempio di Apollo. Gli scaffali hanno sede nel portico che è così vasto da potervi radunare il Senato.
La funzione della biblioteca pubblica è quella di controllare la lettura quindi di censura. Augusto autorizza la accessibilità agli scritti giovanili di Cesare ma ad esempio esclude gli scritti di Ovidio . L’Ars amandi è stata radiata , i Tristia pure. IL procedimento della censura è caratterizzato all’epoca di Augusto nella riduzione dell’autore in disgrazia al rango di non-persona: di lui e delle sue opere non si deve parlare. E’come non fosse mai esistito.
Un ultimo punto degno di nota è poi quello del ruolo del bibliotecario che se da un lato si trova anche a gestire la corrispondenza privata dell’imperatore, dall’altro deva essere molto abile perché vi è una alta codificazione del materiale.
[1] L.Canfora, Nascita delle Biblioteche a Roma, “Sileno”19, 1993, pp. 25-38.
Convenzionalmente, le Leggi delle XII tavole (451-450 a.C.) sono considerate il primo libro apparso sul proscenio di Roma. A dire il vero non ci sono indicazioni sulla presenza di libri a Roma nel V secolo a.C. Quello che con certezza si può affermare è che i libri presenti a Roma furono per lungo tempo gli annali massimi compilati dai pontefici, i libri rituali, infine i testi sibillini. Possiamo anche affermare la presenza di traduzioni svolte dai primi autori come Livio Andronico, Terenzio, Plauto, Nevio, più che altro di testi teatrali. Nelle città greche dell’Italia meridionale poi, dovevano certamente essere presenti libri greci usati nelle scuole o nei teatri.
Se consideriamo alcuni autori citati, troveremo Plauto che nel prima del 218 a.C. si trasferisce a Roma dove mette in atto opere teatrali perché da attore diviene commediografo. Si cita poi il caso di Terenzio che sarebbe morto naufrago mentre trasferiva dalla Grecia all’Italia un carico di testi importante di commedie menandree. Questo fatto importante è indice di dove i comici romani trovassero raccolte di commedie da tradurre e mettere in scena, e ci indica il fatto che vi fosse un certo afflusso di testi in quel di Roma.
Possiamo allora dire che l’abitudine di raccogliere e conservare libri a Roma fosse una abitane che prese piede tra il III e il II secolo a.C. Alcuni episodi supportano questa teoria. Dai ritrovamenti dei cosiddetti libri di Numa (181 a.C.), alle prime razzie di libri per diritto di conquista ( dopo Pidna 168 a.C.), al fatto pure molto significativo che Polibio, alla stregua di Scipione Emiliano, abbia potuto copiare moltissimi testi greci per comporre il suo testo di storia, ed infine il fatto della presenza nelle Origines di Catone di molte fonti greche (composte tra il 160 e il 150 a.C.) ci comunicano che la diffusione dei libri poi raccolti in biblioteche dovesse essere in Roma un evento più che sporadico. Il rinvenimento dei “libri di Numa” è l’evento più memorabile secondo la recente storiografia. Si tratta di una serie di rotoli di papiro di foglie di cedro appartenuti a re Numa Pompilio (715 a.C.). Generano ancora ampie discussioni sulla numerosità e sulla tipologia del documento. La diatriba è dovuta a l fatto che nella Roma arcaica, vi era un carattere chiuso e oracolare del sapere fondamentale che era incarnato da sacerdoti e interpreti. Così il collegio dei pontefici, detentore e interprete della giurisprudenza, rappresenta la casta che conserva i libri fondamentali che sono pochi ma soprattutto segreti, e i responsi sono orali e oracolari.
Ovviamente ci sono differenti ambienti dove uso di scrittura e del libro si manifestano. Oltre al mondo sacrale e ufficiale il libro è diffuso, lo abbiamo detto, nel mondo del teatro. Il maggior numero di libri è appannaggio delle classi elevate. Si vedano le testimonianze che si concentrano sulla cerchia degli Scipioni che intrattengono rapporti di alta cultura tramite Scipione Emiliano ed Emilio Paolo con il commediografo Terenzio che spesso scambia con loro libri che suscitano piacevoli conversazioni. E Roma è in costanti e crescenti rapporti culturali e librari con importanti città ricche di libri greci: Taranto, Siracusa e Cartagine. Gli autori romani, poi, riflettono su una tradizione letteraria in lingua latina.
Non sono comunque presenti a Roma biblioteche pubbliche. Le prime biblioteche che si possono definire tali, sono quelle private di grandi signori romani. E hanno origine dai tre conquistatori dell’oriente: Emilio Paolo, 168 a.C., Silla, 86 a.C. e Lucullo 71/70 a.C. Sono tutte e tre ovviamente composte da testi greci. Emilio Paolo ha il primato di avere costituito a Roma la prima biblioteca privata: costituita dal bottino di guerra dopo la vittoria di Pidna, dove sconfigge Perseo, ultimo sovrano di Macedonia, secondo la testimonianza di Catone sembra che costituissero la biblioteca greca per i figli lettori incalliti. La seconda biblioteca di questo genere è quella di Silla, che con la resa di Atene (86 a.C.) depredò la magnifica biblioteca Apellicone di Teo, bibliofilo e filosofo peripatetico, tra i quali libri troviamo i Pragmateiai di Aristotele e della biblioteca di Teofrasto. Cosa rappresenti un evento come questo per la cultura romana è noto: vi è una irruzione di Aristotele e dei grandi trattati nella cultura filosofica romana che trova in Cicerone il più grande divulgatore del pensiero greco in lingua latina. Per inciso la Biblioteca di Cicerone è ricca sia di testi greci che di traduzioni in latino che rappresenta all’epoca un segno di distinzione che mette in primo piano il conoscitore (54 a.C. circa). La terza ricca biblioteca è quella di Lucullo che nella guerra contro Mitridate (70/71 a.C.) depreda la sua reggia più importante tanto da costituirsi una biblioteca fantastica: nota di merito di Lucullo è che la costituita biblioteca fu messa a disposizione di amici e di dotti riproducendo in piccolo certi tratti delle biblioteche ellenistiche. Plutarco nella vita di Lucullo (cap.42) racconta di passeggiate (peripatoi) e della presenza di scholastéria per ospitare i dotti.
Si potrebbero citare molte altre biblioteche private in Roma ( Catona a Tusculo, Varrone, Attico, Cornelio Nepote, quella dei Pisoni ad Ercolano) ma è necessario qui indicare il momento di cesura con la tradizione e l’istituzione della prima biblioteca pubblica a Roma: quella di Asinio Pollione (76 a.C. – 5 d.C.). Asinio Pollione porta a compimento il progetto vagheggiato da Cesare prima dell’assassinio che disegna una biblioteca pubblica a Roma sul modello di quella di Alessandria che deve superare due scogli della città eterna: il fatto della autosufficienza libraria del ceto elevato e l’esitazione da parte dei grandi potenti, ad investire in simili imprese il proprio prestigio. Così come per l’ellenismo la costituzione della biblioteca doveva segnare un aspetto della regalità, per il potente romano rappresentava una affermazione del personale prestigio politico pubblico. A Varrone viene affidato il compito della sua costituzione: per la prima volta si tenta di creare una raccolta libraria della letteratura in lingua latina. Marrone infatti, aveva ricevuto da Cesare il compito di rendere accessibili al pubblico quanto più possibile le biblioteche e aveva affidato il compito a Varrone di apprestare il materiale e di classificarlo. Ciò si era realizzato con la copiatura di schiavi librarii degli esemplari già esistenti in circolazione. Asinio Pollione orna in maniera fastosa l’atrium della biblioteca con busti di marmo tra cui compare, grandissimo onore perché ancora in vita, quello di Varrone. IL “bottino” rappresenta sempre la parte cospicua che arricchisce la biblioteca. Quello estorto ai Partini, arricchirà l’atrium con un gruppo di Dirce Amfione e Zeto. Ecco che il bottino de manubis rappresenta in senso lato le ricchezze, derivate da guerre civili spoliazioni ecc., da cui Asinio attinge per edificare la biblioteca non per i libri. La biblioteca di Asinio, l’atrium libertatis, sarebbe durata fino e non oltre al 69 d.C. anno nel quale le truppe germaniche nell’anno “dei quattro imperatori”, si acquartierano proprio in quel luogo.
Per un certo tempo con la biblioteca di Asinio convive quella fondata da Augusto sul Palatino. Anche in questo caso i testi messi a disposizione sono i greci e i latini. La biblioteca viene eretta a fianco del tempio di Apollo. Gli scaffali hanno sede nel portico che è così vasto da potervi radunare il Senato.
La funzione della biblioteca pubblica è quella di controllare la lettura quindi di censura. Augusto autorizza la accessibilità agli scritti giovanili di Cesare ma ad esempio esclude gli scritti di Ovidio . L’Ars amandi è stata radiata , i Tristia pure. IL procedimento della censura è caratterizzato all’epoca di Augusto nella riduzione dell’autore in disgrazia al rango di non-persona: di lui e delle sue opere non si deve parlare. E’come non fosse mai esistito.
Un ultimo punto degno di nota è poi quello del ruolo del bibliotecario che se da un lato si trova anche a gestire la corrispondenza privata dell’imperatore, dall’altro deva essere molto abile perché vi è una alta codificazione del materiale.
[1] L.Canfora, Nascita delle Biblioteche a Roma, “Sileno”19, 1993, pp. 25-38.